Il rapporto dedicato dell’Inps evidenzia il maggior livello di forza lavoro attiva in Italia dalla fase pre-crisi globale. Ma i contratti part time non sempre sono veritieri
Adattamento delle imprese ai cambiamenti dei processi produttivi imposti dalle nuove tecnologie, permanenza di ampie sacche di inoccupazione e ricorso anomalo all’impiego part time.
È un ritratto del mercato del lavoro in chiaroscuro quello delineato dal rapporto 2019 pubblicato dall’Inps.
Uno studio che mette in evidenza il contrasto tra alcune spinte positive verso l’innovazione e la resistenza di criticità tipiche del contesto italiano.
Naturalmente, i dati trattati dall’Istituto non tengono conto dell’impatto sull’economia della pandemia di Coronavirus, i cui effetti sulla struttura del mercato del lavoro potranno essere misurati soltanto in futuro.
Il Rapporto si apre con una descrizione delle dinamiche lavorative nel nostro Paese nella seconda metà del 2019.
Per la quarta volta consecutiva, esse hanno fatto segnare una crescita congiunturale dello 0,1%, a fronte, tuttavia, di una contrazione del Pil dello 0,3% rispetto alla prima parte dell’anno.
Il risultato è comunque incoraggiante: l’occupazione si è attestata al massimo storico di 23,4 milioni di unità, con una crescita delle ore lavorate sia su base congiunturale (+0,4%) sia in termini tendenziali (+0,5%). Se ne può concludere che l’espansione dell’occupazione abbia superato di gran lunga il minimo toccato nel 2013, sebbene i livelli pre-crisi, anteriori al 2008, rimangano un miraggio.
D’altra parte, il sospetto che i dati sull’incremento degli occupati possano essere falsati da una qualche interferenza sembra confermato dal focus aperto dagli esperti Inps sul fenomeno del part time.
In questo caso, i numeri disponibili si fermano al 2018, ma sono sufficienti per comprendere che, nel nostro Paese, il ricorso a questa forma contrattuale dissimula, qualche volta, la “malizia” delle imprese per aggirare l’onere di un rapporto lavorativo completo.
Con una quota di dipendenti inquadrati secondo questa tipologia che raggiunge il 20% degli occupati e che si allinea alla media europea, in Italia il ricorso al part time non sempre corrisponde alla scelta volontaria del lavoratore e, spesso, ha rivestito un ruolo di sostegno all’occupazione nei periodi di forte calo del tempo pieno.
In particolar modo, nelle regioni meridionali il part time involontario sfiora l’80% dei casi, contro il 58,7% del Centro-Nord, con una destinazione preferenziale nei servizi alle famiglie e nelle professioni con scarso livello di competenza.
Infine, in virtù della variabilità dei regimi di orario riscontrata nei contratti, è possibile distinguere quattro tipi di impiego part time:
- Marginale, fino al 37% del corrispondente orario full time
- Standard, tra il 38% e il 56% del corrispondente orario full time
- Rafforzato, dal 57% al 74% del corrispondente orario full time
- Quasi full time, oltre il 75% del corrispondente orario full time