Una risoluzione dell’Agenzia delle Entrate ha specificato che le guardie mediche supplenti, numerosissime negli ultimi mesi, non possono ambire al trattamento da lavoro dipendente
Questa settimana intendiamo affrontare un argomento specifico, ma di grande attualità nella congiuntura che stiamo attraversando: la regolamentazione del rapporto di lavoro tra il sostituto medico e la Asl di riferimento.
Il nostro focus, in particolare, riguarda la figura della guardia medica, che, se supplente di un collega impiegato con il posto fisso, dovrà per forza richiedere il proprio compenso all’azienda sanitaria sotto forma di partita Iva.
Lo ha chiarito l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione 41/2020, in cui gli esperti di giurisprudenza argomentano che la prestazione a tempo, nel settore della Sanità, va necessariamente inquadrata tra i redditi da lavoro autonomo.
Ciò sgombra il campo da diversi dubbi che erano sorti negli ultimi tempi, a causa delle numerose sostituzioni di professionisti medici verificatesi e per via dei reclami, avanzati da alcune guardie mediche sostitute, a essere trattate alla stregua dei colleghi suppliti, cioè come soggetti muniti di tutte le tutele di un contratto a tempo indeterminato.
Ma non ci sono ambiguità: nelle Asl la partita Iva è obbligatoria per qualunque professionista del settore che svolga un incarico a tempo determinato; perciò, i redditi conseguenti non sono catalogabili come frutto di lavoro dipendente in alcun caso.
Se ne ricavano due conseguenze.
La prima è che la guardia medica in questione, al rientro dall’assenza del titolare del posto, è costretta a liberare quest’ultimo con effetto immediato; la seconda è che tutti i compensi dovuti dovranno essere fatturati e sottoposti alla relativa tassazione prevista dalla legge.
Naturalmente, secondo i tempi e i modi dettati dallo Stato per questo specifico settore, ovvero “sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni”.